Enzo Pregno
Enzo Pregno nasce a Il Cairo da genitori italiani nel 1898. La famiglia rientra in Italia quando Enzo è ormai ragazzo, e dopo poco tempo partecipa come soldato alla Prima Guerra Mondiale. Fu autodidatta facendosi conoscere nell’ambiente artistico negli anni ’20. La sua personalità inquieta lo portò a viaggiare per l’Europa dove si fermò anche per lavorare vedi in Germania, Svizzera e Francia. A Parigi si trattenne dal 1929 al 1934 e conobbe Pablo Picasso e Victor Branner dei quali divenne amico.
Una volta rientrato a Firenze fece molti mestieri per mantenersi. Sembra che tenne la sua prima mostra nel 1941 alla Galleria Il Ponte.
Osteggiato dal mondo artistico fiorentino perché non volle mai appartenere a nessuna corrente artistica, preferendo non sottostare alle sempre crescenti “etichette”. Questo suo approccio venne invece apprezzato e stimato da artisti dall’impronta internazionale, quali Filippo De Pisis ed Oskar Kokoschka, il quale lo andò a trovare nel suo studio nel 1950.
Per diverse volte fu premiato al Premio Nazionale del Fiorino. Partecipò ad importanti mostre in Italia e all’estero. Ha tenuto personali a Firenze, Milano, Torino, Venezia, Trieste, Roma, Palermo, Zurigo ed in Germania.
Sue opere si trovano alla Galleria D’Arte Moderna di Firenze ed in numerose collezioni in Italia ed all’estero.
Enzo Pregno occupa un posto rilevante nell’arte del ’900 in Toscana. La sua è una pittura asciutta, ristretta all’essenzialità, rientra nella linea storica dell’Espressionismo europeo e ne costituisce uno dei rari esiti italiani.
Un atteggiamento dello spirito che non registra semplicemente la realtà ma la modifica. Una realtà che non è soltanto un paesaggio, un personaggio, un fiore o una natura morta, ma condizione della vita fatta oggetto di giudizio con modi propri del fare arte.
Il linguaggio poetico, la fertilità, la capacità di concentrazione, sono prove della inesausta e stupefatta curiosità di un artista. In tutte le tele, nei fogli infallibili degli acquerelli raggiunge esiti di alta suggestione dove lo spazio si dilata sconvolgendo la materia in paste, linfe, pollini, sul quale si sfoglia un frutto, una rosa di luce dorata e frizzante: una luce viva che anima i contrasti ma non corrode le forme e ne acquista misteriose e profonde risonanze.
Nei paesaggi, soprattutto nelle marine, egli riesce a sublimare i toni appassiti, azzurri e rosa tenerissimi, le grigie giornate malate di vento e di pioggia.
Quando l’arte tornerà ad interrogare se stessa rinunciando ai colpi di teatro, qualcuno si ricorderà di un artista isolato e schivo, che nel gennaio del 1972, con la sua abituale discrezione con cui aveva sempre vissuto, era uscito di scena. Una pittura la sua, che è pura vibrante emozione, scaturita da un periplo compiuto in solitaria riflessione. E tornerà come una profezia ciò che di lui un giorno ebbe a dire Filippo De Pisis: “ Io dipingo la bellezza che passa, lui dipinge la bellezza che resta”.